giovedì 5 luglio 2012

il mio vicino e dante

 anuar e io siamo vicini di casa da almeno quattro anni. abitiamo sullo stesso pianerottolo, io con l’adolescentina ormai iena patentata e lui con una serie di amici. anuar porta sempre vestiti orrendi impeccabilmente stirati e un profumo inqualificabile. un giorno, mentre scendevamo insieme in ascensore, senza alcun tipo di remora mi ha chiesto che lavoro facessi, perché mi vedeva spesso salire e scendere con pacchi di carta dall’aspetto misterioso. io gliel’ho detto, e lui si è illuminato tutto, poi mezzo in inglese mezzo in italiano mi ha snocciolato le sue preferenze letterarie. be’, degli italiani dante, mi fa. è carino, commenta (proprio così, in italiano, “carino”). poi tutti i comunisti, mi fa: tolstoj, cecov, puskin. poi rimango secca, perché aggiunge “e poi shelley, i can’t remember…”. chiedo “percy bysshe shelley?”, mentre mi si presentano alla mente vaghe reminiscenze di liceo. anuar si illumina: “yes”. poi mi fa: “lei come si chiama?” “anna, e lei?” “anuar”. mi tende la mano tutto felice e mi dice “piacere. buona giornata, signora anna” (io quelli che mi chiamano signora + nome di battesimo li ammazzerei, ché sento odor di servitù della gleba). non posso rispondere “anche a lei, mr. + cognome”, poiché non conosco il suo cognome, perciò viro su un “allora a presto” + sorriso.
perciò, rifletto, ha letto dante in bengalese (o in inglese), non sembra il feroce saladino, impesta l’ascensore di profumo, sta sempre con maschi. magari sarà gay ed è venuto in italia per starsene in pace senza correre il rischio di essere giustiziato nella sua nazione a forte maggioranza musulmana. non mostra l’arroganza con penchant delinquenziale di molti giovani nordafricani con giubbotto di pelle finta, felpa con cappuccio e grosse scarpe da ginnastica bianche démodé, sempre alla ricerca di qualcosa; è vivace e non presenta i tratti depressivi del musulmano disadattato in Occidente; ti guarda negli occhi, ti sorride e ti dà pure la mano. possiamo essere blandamente amici.

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