sabato 7 gennaio 2012

vagabondi, giuntatori, paltonieri, guidoni, pitocchi

courtesy lookandlearn.com
il centenario dalla morte di Lodovico Coiro (2011) è appena trascorso. vale la pena di leggere questi brani dal suo Milano in ombra, inquietanti nel loro rimando al presente. in caso di curiosità antropologiche, si può avere un assaggio dell’attuale milano dickensiana accedendo all’ingresso della stazione centrale dall’uscita principale della metropolitana verde.

Milano ha del pari che tutte l’altre città la sua feccia, la quale, come ripeto, ha nulla di comune coll’ottimo popolo operaio, che massime in questi ultimi tempi, è diventato massaio e previdente ed ama l’istruzione ed il lavoro. Né si creda che questa genia sia composta di soli Milanesi; questi anzi vi sono in minor numero di quel che non si creda, giacché a formarla concorrono tutte le città minori e i villaggi di Lombardia, che mandano a noi tutti i loro rifiuti. Cosa questa non nuova, ché la plebe di Roma era pur essa composta di gente venuta dal di fuori della città. E Tacito, nauseato dalla corruzione della Roma de’ suoi tempi, ne svela la cagione dicendo che in Roma “omnia turpia atque scelesta confluunt celebranturque” il che può ripetersi a buon diritto per la nostra Milano.
In Parigi eziandio, la plebe è formata non solo dei déclassés della grande metropoli, ma per la maggior parte, dei provinciali, il qual fatto era già stato accennato da Jacques Sanguin, prevosto dei mercanti nel 1592 sotto Enrico IV. “La bonne ville de Paris renferme deux populations bien dissemblables et d’esprit et de coeur. Le vrai populaire, né et élevé à Paris, est le plus laborieux du monde, voire le plus intelligent;  mais l’autre est le rebut de toute la France. Chaque ville des provinces a so égout, qui amène ses impuretés a Paris”.

[…]

Fisionomia della plebe di Milano
Milano è il gran mondezzaio della Lombardia, la sua feccia che in sostanza è eguale a quella d’ogni altra città, ha però note caratteristiche del tutto speciali, le quali ci possono rendere più agevole il modo di definirla, purché, ottimo lettore, tu non cerchi nella definizione che ti verrà posta innanzi né il genere prossimo, né l’ultima differenza. Dev’essere una bella definizione davvero!
Vagabondi, giuntatori, paltonieri, guidoni, pitocchi, si mescolano insieme a comporre la falange plebea.
Il plebeo non vive in famiglia; esso ne trova o ne improvvisa una dovunque, sulla piazza come nell’ospitale, nel postribolo come nel carcere. Non curante del domani, non ha una stabile ed onesta occupazione; dalla colpa trae miseramente i mezzi di sussistenza; il caso gli fornisce il vestito, e perciò quando la feccia sbuca in folla da’ suoi covili la si vede vestita delle foggie più svariate e bizzarre. Berretti e cappelli, abiti di panno logori e smunti, fusciacche di frustagno,  calzoni d’ogni taglio e d’ogni colore, scarpe e brodequins si vedono appaiati in istrana mostra,  offrendo anche al più superficiale osservatore tutti gli elementi per tessere una storia delle foggie d’abiti in uso da dieci anni in poi presso la cittadinanza, di cui quella moltitudine è parte ed alla quale essa in modo onesto od inonesto li ebbe.
Piccole stelle o buccolette azzurrine agli orecchi, anelli in dito, al collo foulards dai colori smaglianti, ecco gli ornamenti ricercati dagli uomini del nostro volgo. Le donne vestono pur troppo con apparente lusso; ma i lembi sfilacciati delle loro seriche gonnelle segnano la distinzione tra queste miserabili e le vere signore.
Gli uomini sono magri e snelli, piuttosto sparuti; la loro pelle ha un colorito terreo; hanno gli occhi lustri, mobilissimi ed investigatori, ossa zigomatiche assai sporgenti, bocca atteggiata al sarcasmo ed all’insulto, ritengono nel sembiante un non so che di provocante e insieme di spaurito, che rivela la condizione loro di dover sempre camminare per quell’angusto e pericoloso sentiero che separa il delitto dalla punizione. Dove abitano, come vivono e come parlano questi miserabili vedremo in seguito. Osserviamo finalmente, che se per il suo sudiciume la plebaglia è brutta a vedersi, per la sua selvaggia rozzezza è altrettanto disgustosa a trattarsi. Costituisce una società nella società, con alcune consuetudini dagli interessati riconosciute per leggi, con lingua propria, con mestieri speciali, e con una certa gerarchia, di cui quelli che occupano gradi superiori, sono almeno temuti se non rispettati od amati. Questi miserabili non hanno religione, sono schiavi di molte superstizioni ed hanno di tali loro stolte credenze, non sacerdoti ma sacerdotesse; essi hanno infine una importante caratteristica,  già notata dal Machiavelli, ed è che presi singolarmente fanno schifo e ribrezzo e veduti raccolti in massa incutono spavento.
Chi si mostra sfegatato idolatra della feccia, non l’ha neppure vista da lunge.

[…]

In Milano vi è maggior movimento letterario che in qualsiasi città d’Italia, tant’è che ben 4000 persone campan la vita coi frutti del loro ingegno, come vivano poi ve lo dicano i molti figli della bohème, che discutono ogni giorno, seriamente se debbano sopprimere la colazione o il pranzo, e che vanno torturandosi il cervello per satollarsi con esempi di abnegazione e di sobrietà,  non potendo nutrire il loro corpaccio con qualcosa di più concreto e di più sostanzioso. Vita poetica è quella della bohème! Ma come potrebbe avvenire altrimenti in una città nella quale vi sono 286 mentecatti, 314 imbecilli, 453 ciechi, migliaia e migliaia d’affaristi, che non leggono altro che il loro libro mastro e 45,613 individui che non sanno leggere né scrivere? Inoltre i 5799 individui che hanno dichiarato nella scheda di censimento di saper soltanto leggere è certo che altro non leggono tranne il lunario e la cabala del lotto e questi per vero dire aumenteranno di ben poco il commercio librario, il che può dirsi ancora di moltissimi indefessi lettori di opere prese a prestito dagli amici e dai conoscenti.
Ma la feccia?... È difficile l’affermare il numero preciso delle persone che la compongono. Dalle statistiche ufficiali questo non si può rilevare1.
1 In questi studi mi sono giovato di statistiche affatto private redatte diligentemente e con finissimo criterio dal signor Angelo Candiani, già comandante delle guardie di pubblica sicurezza al quale rendo le più vive grazie. Tributo pure cordiali ringraziamenti al già questore cav. Edoardo Cossa e al signor cav. Pietro Fassa, già direttore delle carceri di Milano che mi procurarono modo di vedere da presso alcune precipue fasi della vita plebea.

Lodovico Corio, Milano in ombra - abissi plebei, Stabilimento G. Civelli, Milano 1885

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