martedì 10 gennaio 2012

bookfast (writers for breakfast)_h.g. wells

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“Così finalmente abbiamo il nostro vangelo”, disse lo studente biondo. “È tutta un’illusione, vero? Tutte le nostre aspirazioni a condurre una vita migliore di quella dei cani, tutto il nostro lavoro per qualcosa di là da noi. Ma guarda come sei incoerente. Il tuo socialismo, per esempio. Perché ti preoccupi degli interessi della specie? Perché ti preoccupi del mendicante nella strada? Perché ti dai da fare per prestare quel libro” –  indicò William Morris con un movimento del capo – “a tutti nel laboratorio?”
“Una ragazza”, disse il gobbo indistintamente, e guardò furtivo sopra la spalla.
La ragazza in marrone, con gli occhi bruni, era entrata nel laboratorio, e stava sull’altro lato della tavola dietro di lui, con il grembiule arrotolato in mano, guardando sopra la spalla e ascoltando la discussione. Non notò il gobbo, perché osservava Hill e il suo interlocutore. Il fatto che Hill fosse consapevole della sua presenza le fu rivelato dal suo deliberato ignorare la cosa; ma ella lo capì, e questo le fece piacere. “Non vedo la ragione”, disse, “per cui un uomo dovrebbe vivere come un bruto perché non conosce nulla di là dalla materia, e non si aspetta di vivere altri cento anni.
“Perché non dovrebbe?”, chiese lo studente biondo.
“Perché dovrebbe?”, disse Hill. “Quale incentivo ha?”
“Voi religiosi vi comportate tutti così. È sempre una questione di incentivi. Un uomo non può cercare la giustizia per amore di giustizia?”
Ci fu una pausa. L’uomo biondo rispose, in modo un po’ verboso, per guadagnare tempo: “Ma vedi, l’incentivo, e quando dico incentivo...” E allora il gobbo intervenne in suo aiuto e fece una domanda. Era un individuo terribile nei dibattiti, ed essi invariabilmente assumevano una sola forma: la richiesta di una definizione. “Qual è la tua definizione di giustizia?” chiese a questo punto il gobbo.
Hill, a questa domanda, provò un’improvvisa perdita di sicurezza, ma appena venne formulata, l’aiuto giunse nella persona di Brooks, l’assistente di laboratorio che era entrato dalla porta della stanza di preparazione, portando un certo numero di porcellini d’India appena uccisi, tenendoli per le zampe posteriori. “È l’ultimo gruppo di materiale per questa sessione”, disse il giovane che prima non aveva parlato. Brooks avanzò nel laboratorio, lasciando cadere due porcellini su ogni tavola. Il resto della classe, odorando la preda da lontano, entrò a frotte dalla porta dell’aula di lezione, e la discussione ebbe bruscamente termine, perché gli studenti che non erano già ai loro posti vi si affrettarono per assicurarsi la scelta di un esemplare. Ci fu un rumore di chiavi che tintinnavano sugli anelli portachiavi mentre le serrature venivano aperte e gli strumenti per la dissezione estratti. Hill era già in piedi accanto alla propria tavola, e la scatola del bisturi gli usciva dalla tasca. La ragazza in marrone fece un passo verso lui e, chinandosi sulla sua tavola, disse piano: “Ha visto che ho restituito il suo libro, signor Hill?”
Durante l’intera scena sia lei sia il libro erano stati vividamente presenti alla sua coscienza; ma non senza goffaggine egli finse di guardare il libro e di vederlo per la prima volta. “Oh sì, disse prendendolo. “Vedo. Le è piaciuto?”
“Voglio farle qualche domanda in proposito, un giorno o l’altro.”
“Certo”, disse Hill. “Ne sarò lieto. “Si fermò imbarazzato.
“Le è piaciuto?”, chiese.
 “È un libro meraviglioso, ma ci sono delle cose che non capisco.”

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