mercoledì 17 agosto 2011

milano, estremo oriente

Da sinistra a destra: Lee Song Nam, interprete, Corea del Sud; Wang Luyan, artista, Cina; Marina Boer, grafica, Italia

Al centro, Jeon Chang Nae, gallerista, Corea del Sud


Wang Luyan, W USA Watch D08-01, 2008. Acrilico su tela, 200 x 200 cm

Wang Luyan, The Turning Around Mona Lisa, 2010. Acrilico su tela, 200 x 150 cm

Wang Luyan esamina il menabò del suo catalogo: rapido, pratico, quasi sempre silenzioso e per questo ancora più sorprendente quando, assai di rado, si apre in un sorriso



Le sue linee sono sempre precise, rigorose, stilizzate. Cosa significa per lei lavorare così?
Ho sempre pensato che l’effetto pittorico fosse superfluo, così cerco a ogni costo di evitarlo. Detesto che si veda il lavoro della mano, che peraltro è l’autentica essenza del processo di dipingere. Secondo me questo conferisce immediatamente al lavoro un lato sentimentale, sempre accompagnato da un senso del contingente e dall’incertezza, perfino da tremolii che quasi danno vita alla superficie della pittura: questo è esattamente quello che voglio eliminare nelle mie opere. Perciò ho sempre cercato di produrre immagini “non manuali”, pur lavorando con le mani, usando strumenti di misurazione graduati, attrezzi industriali che mi permettono di creare immagini spersonalizzate. Questo contrasto e nello stesso tempo questa combinazione degli attrezzi impersonali, industriali, di uso comune che utilizzo, da una parte, e un necessario lavoro manuale, dall’altra, stanno al cuore del mio approccio all’arte. È come se il mio lavoro manuale fosse standardizzato.

Henri-François Debailleux, da un'intervista a Wang Luyan

Wang Luyan è un artista cinese nato nel 1956. Produce dipinti di grande formato e installazioni di formato enorme: squadre, compassi, siringhe, tutte figure di iperboliche dimensioni, dipinte con grande perizia e, come dice l'artista stesso nel brano dell'intervista qui sopra, con la precisa volontà di evitare qualunque tipo di sbavatura. A ottobre la Galerie Rx di  Parigi ospiterà una sua mostra, di cui Skira editore pubblicherà il catalogo in inglese e francese. Perciò, per la visione del primo impaginato in casa editrice , dalla Cina è arrivato l'artista, e dalla Corea sono convenuti il gallerista e l'interprete. Perché Luyan non parla inglese e nemmeno coreano, e perciò non avrebbe potuto comunicare né con il suo gallerista Jeon Chang Nae né con chi scrive. Per buona sorte c'era Lee Song Nam, che parla coreano, cinese e un improbabile inglese: il nostro ponte tra oriente e occidente. Epperò subito si è trovata un'eccellente armonia, poiché l'artista tagliava bozze e le sistemava come gli sembrava meglio per l'ordine tematico e cronologico delle sue opere, il gallerista collaborava a suo modo e, siccome l'impaginato era un gran bell'impaginato, abbiamo trascorso la maggior parte del tempo a dire in coro, a ogni doppia pagina sfogliata, la parola "hao", che in cinese vuol dire "bene, buono", e quando la composizione era proprio indovinata, in un babelico empito di concordia tra i popoli, dicevamo tutti "very hao".



          

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