giovedì 21 aprile 2011

la vita è sogno_teatro franco parenti


Durante la riunione per il controllo di qualità delle immagini per il volume: Andrée Ruth Shammah

In un libro di imminente pubblicazione presso Skira editore, gemello di un precedente e con questo (Storia di un sogno, 1999) riunito in un cofanetto, Gianni Valle racconta gli ultimi dodici anni del Teatro Franco Parenti, sotto il titolo Teatro Franco Parenti - Responsabilità del sogno. Il primo ne aveva raccontato i precedenti venticinque.

Di fronte, il curatore del volume Gianni Valle
Gianni Valle si dichiara genericamente dell’“organizzazione”, ma in realtà, al Parenti sin dai primordi, è stato attore ed è custode dei fatti, cronachista appassionato e compagno di avventure di Andrée Ruth Shammah, regista e direttore del teatro. Nonché autentico campione dell’understatement, che nicchia alla richiesta di una sua biografia, sia pur minima, da pubblicare. E allora, certa che Valle non se ne dorrà, riporto le parole che ha scritto nella nota finale del libro, che danno la misura del suo ruolo lungo il cammino del teatro, della sua lucida intelligenza delle cose che non spegne un durevole coinvolgimento.

Uno sguardo da dentro e da fuori
 nota del curatore
Gianni Valle

Poche settimane dopo la celebrazione del 25° anniversario del Teatro Franco Parenti, mentre entrava nel vivo il complesso cammino raccontato in questo libro, io lasciavo il Teatro Franco Parenti per andare a Palermo a occuparmi del Festival sul Novecento. Trovavo una manifestazione a cui gli amministratori della città davano un convinto sostegno, considerandola un caposaldo del “rinascimento palermitano” e permettendole di esserlo veramente, così non potevo fare a meno di paragonarla con la situazione che avevo lasciato, dove la proposta di un autentico progetto culturale veniva considerata “un problema amministrativo” e il pellegrinaggio di Andrée Shammah per incontrare le forze politiche, per sensibilizzare la Milano dell’imprenditoria e della cultura, per far capire che la ricomposizione dello storico Quartiere Cesare Battisti riconsegnava alla città una sua proprietà, veniva trattato come una delle tante tirate di giacchetta dei teatranti-questuanti.
Quando c’eravamo dentro (l’avevo spesso accompagnata), nella tensione verso l’obiettivo, nell’ostinazione della battaglia, tutto ciò sembrava normale in quanto rientrava in un meccanismo risaputo, ma è bastato andare due passi in là, guardare da fuori e fare qualche confronto elementare per cogliere la sproporzione tra la nobiltà dell’impresa e la grettezza delle risposte e dunque prendere parte, volere bene a questo progetto.
Dentro e fuori il Teatro Franco Parenti mi ci sono trovato sempre, vivendolo come una specie di centro di gravità con cui misurarmi prima e a cui ritornare poi, dopo ogni mia esperienza di altro tipo. Ero dentro prima che si aprisse, quando al Piccolo Teatro si stava chiudendo la direzione unica di Paolo Grassi e Franco Parenti raccoglieva intorno a sé quella couvée di collaboratori che avrebbe portato alla creazione del Salone Pier Lombardo, ma alla prima stagione lavoravo con una compagnia di amici all’Aquila. Guardavo altrove alla fine degli anni settanta quando mi allontanai per dare vita al Teatro di Porta Romana e lì il confronto fu più acceso, perché quell’esperienza postulava un primato della struttura progettuale sulla “linea artistica” che era allora la dottrina imperante ed esclusiva. “Cos’è?”, si chiedevano attori e critici, avidi della loro identità, “il teatro lo fanno gli organizzatori?” Così l’esperimento, pur sviluppandosi per un certo periodo, non ebbe la fortuna che meritava, ma l’esigenza che l’aveva fatto nascere è rimasta, tanto che ne riconosco alcuni sintomi dentro l’attuale progetto del Teatro Franco Parenti.
Che intanto è andato avanti come cresce una creatura, cioè seguendo gli impulsi della vita, non assecondando un disegno prestabilito. Un percorso che ha preso forme e strade che rispondevano ai dati di realtà, in una continua tensione tra la volontà, passione e opportunità di cui, ancora una volta più fuori che dentro, ho fatto mie le dinamiche.
Perché tanto più prendo le distanze, tanto più mi risulta chiaro quello che Andrée sta facendo.
Così credo di poterlo testimoniare come se fossi stato convocato quale “persona informata dei fatti”: il racconto di questa avventura potente e fragile, durata quanto la guerra di Troia, costantemente insidiata dal rischio di fallimento, è venuto da sé, senza un input preciso, ma nella convinzione che un contagio quarantennale e il comune amore per il teatro mi avrebbero permesso di guardarci dentro, senza deragliare.

Andrée Ruth Shammah con la responsabile del controllo di qualità delle immagini Skira
Chi scrive ha partecipato professionalmente alla confezione del volume, leggendo e dialogando con il curatore, con grande piacere. Nel corso di diverse cordiali riunioni abbiamo lavorato sui testi e sulle immagini; mentre davamo vita al libro abbiamo vissuto le fasi dell’accordo tra la Fondazione Pier Lombardo e il Comune di Milano relativo alla concessione per la riqualificazione dell’area della Piscina Caimi e ricevuto la notizia dell’assegnazione ad Andrée Ruth Shammah del Montblanc de la Culture Arts Patronage Award 2011, “per il suo costante e appassionato impegno nel recupero del Teatro Franco Parenti, oggi un punto di riferimento nella vita culturale milanese e italiana”.
Il volume sarà presentato l’11 maggio (informazioni più precise prossimamente).




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