lunedì 16 febbraio 2009

memoria, nostalgia, necessità - da un signore nato nel 1915

il neretto è mio.

"[…] la trasmissione organizzata da un collettivo femminile sul tema dello stupro era condotta con una misura civile, un’intensità sofferta e spoglia di retorica, da riuscir degna di attenzione e di rispetto, ben al di là della materia sordida e delle crudezze di linguaggio. […]
Strutturalmente più esile del maschio in quasi tutte le specie più evolute (discobole russe escluse), anche se biologicamente più forte (vive dieci anni di più), la femmina è la vittima predestinata della violenza maschile in tutte le società falsamente civili, in cui la forza bruta rimane strumento primordiale di dominio. […] siamo di fronte a uno sviluppo culturale complesso, non univoco, non separabile da una parallela evoluzione della mentalità maschile […]
Chi sono gli autori abituali di stupri? Non ci si aspetti scimmioni villosi e senza fronte, maniaci sessuali, drogati. I più son gente comune, onesti lavoratori, padri di famiglia, giovani di belle speranze, che trovano giusto, bello, esaltante, afferrare in tre, in cinque, in sette, una donna indifesa, una donna che porta in sé affetti, sentimenti, ideali, e massacrarla nel corpo e nella mente, infliggerle un trauma spesso irreparabile. Perché? Qualcuno dice raptus, qualche altro esaltazione collettiva, qualche altro provocazione da minigonna. Ogni scusa è un’ulteriore bassezza.
Gli psicologi parlano di donna-pretesto, di oggetto casuale che consente al “gruppo” di esercitare sulla femmina accomunata la propria omosessualità latente. La via è aperta alle disquisizioni più sottili.
Ma alcuni punti mi sembrano certi. Il primo è che lo stupro è solo esteriormente un fatto sessuale: senza reciprocità e mutuo abbandono non c’è sessualità, ma meccanica simulazione, tentativo di illudersi (come in ogni rapporto venale), cioè degradazione. Lo stupro è perciò violenza pura, brutalità che si esaurisce in sé stessa, voluttà di calpestare, umiliare, distruggere un altro essere umano. Esso dev’essere perciò classificato tra i delitti più abietti e punito come tale. Chiunque sia la donna violentata, anche una prostituta incallita, essa merita solidarietà, commiserazione e rispetto. La legge va cambiata. La violenza va repressa dovunque affiori, subito, senza pietà."

6 maggio 1979

Luigi Firpo, Cattivi pensieri, Mondadori, Milano 1983

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